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Il nuovo volto della contraffazione: dagli hidden links agli influencer

Sino a qualche anno fa, i casi di contraffazione nascevano dal fenomeno della vendita in strada, sulla spiaggia, nelle bancarelle di prodotti d’abbigliamento ed accessori low cost, destinati principalmente a giovani e turisti, ma con il passare degli anni il fenomeno è profondamente cambiato: si moltiplicano i prodotti falsi, si diversificano i canali di vendita, sorge anche la contraffazione di qualità. 
La contraffazione ora si presenta come una realtà complessa, mutevole e adattiva, sempre pronta a cogliere ogni opportunità di mercato mediante la diversificazione di prodotti (dal lusso, all’easy wear, allo sport, alla pelletteria), dei canali di vendita (integrando quelli tradizionali con l’on line), l’estensione delle sue ramificazioni anche all’esterno del territorio nazionale e la copertura di tutte le fasi della filiera produttiva: dall’approvvigionamento dei materiali, alla loro trasformazione, allo stoccaggio e commercializzazione dei prodotti finiti. 
La pandemia di Covid-19 ha prodotto un’evoluzione verso il digitale e un cambiamento nei comportamenti di acquisto: nel 2021 il 43% degli italiani ha acquistato spesso on-line, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2019 (Censis, Diciassettesimo Rapporto sulla Comunicazione, I media dopo la pandemia, 2021). All’incremento delle vendite on line è corrisposta una traslazione di contraffattori e malintenzionati (i cosiddetti bad actors) dai luoghi fisici tradizionali (i mercati, le strade, le spiagge) all’e-commerce, e una diversificazione dei canali utilizzati per la pubblicizzazione e la vendita di prodotti fake (marketplace, social network, siti web, ecc.). Sono i giovanissimi appartenenti alla generazione Z, solitamente con maggiori competenze digitali, i principali artefici del boom dell’e-fake. 
L’ultima frontiera della contraffazione si chiama hidden links: si tratta di post, apparentemente leciti e anche accattivanti, sui social che propongono la vendita di prodotti originali, quali abbigliamento, scarpe, orologi. All’interno si trova un codice, se lo si clicca o lo si riproduce con un copia incolla, si apre un “catalogo” di prodotti apparentemente originali, ma in realtà falsi. Si offrono prodotti contraffatti sfruttando, in maniera “parassitaria” la forza del brand originale. Ogni volta che un potenziale acquirente inserisce il codice per l’acquisto del prodotto, di fatto non scrive il codice-prodotto, ma quello di un procacciatore di quel bene che si incaricherà di procurarlo e spedirlo, in cambio di una commissione o percentuale, spesso con pagamenti non tracciati. 
Altro capitolo sono gli influencer, non i grandi nomi, ma il fitto sottobosco di giovani che si sono costruiti una community di follower attorno a una passione specifica (un capo di abbigliamento, una marca, ecc…) che sono molto seguito a livello locale. Alcuni offrono sia gli originali che le repliche contraffatte a prezzi più accessibili, prendendo una commissione dai produttori di falsi. 
Lo scaffale illegale va a danneggiare i negozi legali, sottrae posti di lavoro, azzera un gettito erariale che potrebbe aiutare a ridurre il debito o fornire servizi.
Serve il contributo di tutti per un risultato a vantaggio della collettività e una maggiore sensibilizzazione verso gli effetti negativi della contraffazione.
Il prezzo basso non è tutto, spesso riserva sorprese e non sempre piacevoli. Da un prodotto falso, non dimentichiamolo, derivano danni veri.

(da rapporto Censis- Mise – UIBM, “La contraffazione nel settore moda”, 2022 e Sole 24 ore del 7/11/2022)